“Dio smascherato”: il Messaggio di Quaresima-Pasqua del Vescovo Morfino

copertina Messaggio Quaresima Pasqua 2018Dio smascherato

Messaggio per la Quaresima e la Pasqua 2018

 

La vulnerabilità del Crocifisso smaschera Dio

È nella contemplazione del Crocifisso-Risorto che impariamo Dio. È il Padre, che nel Figlio innalzato sulla croce, frantuma la nostra malsana teo-logia, quelle idee caricaturali e distorte che coviamo in cuore e proiettiamo sul suo volto. La poca familiarità con la Parola, la durezza del cuore, il ripiegamento su noi stessi, le nostre personali paure, i bisogni, i pallini, le segrete rivalse, le inconfessabili velleità, le delusioni, i risentimenti, le nostalgie di grandezza, le amarezze, le nostre ferite, l’uso dis-ordinato della libertà e… tanto altro, ci co-stringono a guardare Dio con diottrie insufficienti e contraffattrici. E il volto di Dio ne viene deturpato, mascherato, camuffato e i suoi tratti distorti e traditi.

In questo lungo e indisgiungibile tempo di Quaresima-Pasqua, la liturgia, l’ascolto prolungato della Parola, la preghiera comunitaria e personale più intensa, il perdono ricevuto e offerto e l’accresciuta carità vicendevole, ci offrono uno sguardo sempre meno distorto e sempre più autentico sul volto di Dio. Il Figlio Gesù, nella sua passione, morte e risurrezione, ci restituisce quelle diottrie mancanti e sana l’occhio interiore infermo, cecuziente e deformante.

È nello “stile” di Gesù, nelle sue parole e nei suoi silenzi, che noi scorgiamo finalmente il vero volto di Dio. Meglio ancora: Dio si impara davanti alla vulnerabilità di Gesù crocifisso. Di più: “Gesù è la vulnerabilità di Dio che si offre all’uomo, come specchio della sua meschinità, nel desiderio che l’uomo si veda, abbia orrore di sé, accetti la salvezza che questo umiliato gli offre con il suo silenzio. È la sua vulnerabilità che Dio mi offre in ogni fratello debole che non sa reagire, che non ha magari, semplicemente, la presenza di spirito di rispondere a una mia frecciata, a una parola amara. Dio si offre a noi in Gesù per risanarci, si offre a noi nei fratelli per confonderci e insieme liberarci, per farci vedere chi siamo” (C.M. Martini, La vulnerabilità di Dio).

Se la potenza di Cristo si è rivelata nella debolezza e la luce di Dio si è rivelata nell’oscurità del venerdì Santo, se la gloria di Dio si è manifestata nel grido di dolore e di abbandono di Gesù, ciascuno di noi, attraverso questo dirsi di Dio in Gesù, è chiamato alla conoscenza di un Dio altro da quell’idea di lui che coviamo in cuore. Essere “in Cristo” – e questa è la grazia del Battesimo, dell’Eucarestia, della Riconciliazione – ci dona di essere lì dove è Cristo e di conoscere il Padre come Cristo ce lo ha svelato.

E tuttavia, come frusta sibilante e irrequieta, ci urge in cuore la domanda delle domande: perché Dio si fa conoscere nella croce? Solo la croce ci dice che Dio ha preso molto sul serio l’abisso di malignità del cuore umano. Solo la croce riesce a raccontare che Dio, sul serio, si fa carico della nostra personale debolezza, della nostra vulnerabilità. Solo la croce ci suggerisce di un Dio che, sul serio e fino alla fine, si consegna e si sottopone alla libertà della persona umana. Senza salire in croce, o scendendovi, Gesù avrebbe rinnegato tutto ciò, consegnandoci un drammatico falso. Gesù non vuole, non può, non deve essere il falsario di Dio. Perché Gesù è il Figlio e “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). Non lasciandosi inchiodare al legno maledetto e ignominioso o avendo premura di schiodarsi da esso, Gesù avrebbe fatto trionfare l’immagine distorta e rovinosa di Dio: quella del Dio potente ma traditore dell’umano. Gesù avrebbe fallito la missione per la quale, invece, è stato inviato dal Padre: nel momento decisivo del disvelamento, lì dove ogni umano avrebbe potuto – finalmente! – intravedere il volto santo del Compassionevole Padre, rinnegando la voluta vulnerabilità di Dio messa nelle stesse mani umane, Gesù ci avrebbe consegnato la più sciagurata delle contraffazioni. Ma contraffatto il volto di Dio, tutto è contraffatto. E Gesù non rifiuta l’inchiodamento né cerca lo schiodamento. È il Crocifisso Signore che dice Dio.

 

Amicizia offerta e verità di sé

Nella passione, Gesù offre a Giuda, ai soldati, a Pilato la sua amicizia che potrebbe farli venir fuori dal gioco di malvagità, di risentimento, di paura e di rivalsa in cui sono catturati e chiusi. Ma nessuno di loro si è lasciato vincere da tale offerta. Non perché particolarmente cattivi. Erano semplicemente gente come noi.

Io sono Giuda, deluso da Gesù, deluso da Dio che – se davvero Dio – in Gesù sarebbe dovuto intervenire alla maccabaica, con eclatanza, con un piglio da togliere il fiato, sgominando, senza escludere colpi bassi, chiunque gli si contrapponesse… Di gloria in gloria! E invece, ora come allora, Dio si fa sponsor di un Messia (e di una Chiesa) che pare scivolare di debolezza in debolezza, di cedimento in cedimento, di lassismo in lassismo, senza usare il suo potere per stanare, correggere e disarmare i malvagi e i peccatori, gli eretici e i dissenzienti. Ma come mettere tra parentesi l’invito pressante di Gesù “imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita” (cf Mt 11,28-29)? O posso scandalizzarmi vedendo che Gesù, non solo cede ai suoi detrattori, ma giunge fino a colloquiare serenamente con loro, arrivati con forche e bastoni non certo branditi coreograficamente (cf Mt 26,47-56)?

Io sono Giuda ogni qualvolta amareggiato, disilluso e deluso mi costruisco un’immagine fasulla di Dio e di me stesso e, pur di non ammetterlo, mi consegno a qualsiasi miraggio di rivalsa e di ripicca, giungendo ad un falso uso della libertà, capace di condurmi là dove mai mi sarei sognato di arrivare. Di ogni fratello e di ogni sorella possiamo tragicamente fare quello che vogliamo, facendo il peggior uso della libertà donataci per amare (cf Mt 26-27).

Io sono i soldati: frustrati e saturi di voglia di rivincita. Povera gente, mal pagata, che odia il lavoro che fa, che non capisce l’insensatezza di tanti ordini ricevuti da chi ha i gradi, abituata ad essere maltrattata da chi ha potere e cova in cuore una dose sconfinata di risentimento da far pagare, appena possibile, ai poveri disgraziati loro sottoposti. Sempre altalenanti sul pendolo oscillante tra servilismo ossequiente verso chi è percepito “più forte” e la ritorsione arrabbiata verso chi appare “più debole” (cf Mt 26,65-68). E tutto ciò serve a mantenerli (e mantenerci) in uno stato di superiorità, di predominio.

Io sono i soldati: quando non ascolto la sua Parola di liberazione: “Se ho fatto male, mostramelo, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23); quando lascio cadere il suo appello alla mia libertà: “guardati dentro, perché fai così? Quale insoddisfazione, frustrazione, paura, servilismo ti ha spinto fino a questo punto?”. Quando sminuisco la portata del “non opporti al malvagio” (Mt 5,38), anche io sono un mercenario; forse irreggimentato e con i gradi, ma mercenario. No, non opporti al malvagio facendoti anche tu malvagio, mettendoti sul suo stesso piano, rispondendogli con un’azione uguale alla sua. È vero che Gesù stesso si è opposto al malvagio e ha resistito, ma non con stile malvagio, piuttosto con la luminosità di una risposta limpida, che sorprende l’altro, lo spiazza e lo mette con chiarezza davanti al male compiuto, perché l’altro possa ascoltare, accorgersi, convertirsi, svegliarsi. Se vuole. “Se ho fatto male, mostramelo, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23). Se irrido Gesù che mi suggerisce di essere creativo nell’amore, capace di trovare parole e gesti che sorprendano l’altro, ponendolo davanti all’evidenza del male compiuto e mostrandogli una nuova possibilità di relazione, sono anche io squadrista.

Io sono Pilato: attaccato allo scranno e per nulla disposto a cederlo; strattonato tra il desiderio della carriera – e dei suoi agognati ulteriori avanzamenti – e il non voler pestare i piedi a nessuno pur di non aver nemici e quindi fastidi. Ma questo funambolismo lo rende inquieto davanti a quell’Uomo. E lo renderà tremendamente ingiusto verso di lui… Saprebbe cosa fare ma vuole salvare tutto: scranno, benevolenza dell’imperatore e quell’equilibrio dannatamente fragile con autorità locali e un popolo suscettibile e indomabile (cf Mt 27,11-16).

Io sono Pilato: fagocitato dal rispetto umano, ma incapace di dare ascolto a questo Uomo che né lo adula né lo respinge ma che gli parla liberamente: “Tu lo dici” (Gv 18,37). Vale a dire: puoi condannarmi, anche se non trovi in me nessuna colpa, puoi condannarmi. Ma fermati, guardati dentro, torna in te stesso, non consegnarti al doppio gioco, all’inautenticità, al sopruso… Solo in questo colloquio a tu per tu con l’Uomo, ogni umano diventa autentico. Anche io, come Pilato, sono davanti a Gesù che mi svela la voluta vulnerabilità di Dio: Lui che si lascia trattare come a me piace perché vuole che io lo ri-conosca. Ma come Pilato, ho una facciata, un prestigio, una rispettabilità da salvare. A tutti i costi. E poi paure e poi maschere da esibire in pubblico e in privato. Un fardello che non mi permette né di rischiare, né di essere libero e, di più, fa pullulare tante assurdità e intemperanze nei miei stili di vita, spingendomi a trascurare e calpestare l’altro anche solo per salvaguardare l’apparenza, per cementare la facciata, per non farmi sfilare la posizione acquisita o il rispettabile giudizio della gente sulla mia onorabilità, sulla mia fama, sui miei titoli.

Io sono io: solo, disorientato e al buio quando, latitando dalla parola e dalla persona di Gesù, non capisco più i suoi sentimenti e il suo stile. Anzi mi infastidiscono e mi scandalizzano (cf Mt 26,30-35). È il disagio che mi provoca quando mi ripete: “amate i vostri nemici” (Mt 5,44). Certo, Gesù non legittima l’esistenza dei nemici, ma ognuno sa che la terra è piena di inimicizie. Quante volte i rapporti umani sono segnati da inimicizia, anche grave. Anche nella Chiesa. E ognuno lo capisce perfettamente, perché tutti noi abbiamo ‘nemici’. Li ha avuti Gesù stesso. Nemico è il prossimo che ci fa del male, tante volte in modo sottile, nascosto, senza attrarre l’attenzione, ma non per questo fa meno male. E anche io, a volte, mi comporto verso l’altro come un nemico. Il nemico è quel prossimo che non vorremmo mai avere o che desidereremmo domiciliato dall’altra parte dell’emisfero! E Gesù, invece, mi dice di amare il nemico. Ma cosa significa concretamente “amare i propri nemici”? Gesù fa subito e solo un’esemplificazione: “pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,44). Se sono disposto a pregare per il mio nemico – che non per questo mi diventa “amico” – allora sono uno che ama il suo nemico. La preghiera per chi ci fa del male è il segno più eloquente dell’amore. Ma soprattutto ciò che ci deve accompagnare in questo tempo di conversione del cuore e cambiamento di stili relazionali, è il perché del comando di Gesù: “affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti(Mt 5,45). Unica è la ‘ragione’ dell’amore verso il nemico: Dio è grazia eccedente e amore incondizionato! Lui, indistintamente e sine modo, non economizza i suoi benefici, non risparmia i suoi doni per offrirli ai virtuosi, ai devoti e ai meritevoli, ma riversa il suo amore sui giusti e sui buoni: a tutti li elargisce, smodatamente. Obbedendo a questa parola, proprio come Gesù, possiamo testimoniare agli altri, anche al nemico, quel gratis che abbiamo ricevuto dal Padre. Sono “figlio grato” solo quando non restituisco al prossimo la stessa moneta malvagia che mi ha dato, e non perché sono migliore di lui o di lei, ma per essere testimone di quella illimitata compassione con cui, io per primo, sono stato trattato dal Padre. È la perfezione – “dunque, siate perfetti” (Mt 5,48) – sta proprio nella “esageratezza” di misericordia verso chi mi ha fatto del male.

Giuda, i soldati, Pilato, noi stessi senza l’apertura del cuore alla persona e alla parola di Gesù, non riescono e non riusciamo ad accogliere l’amicizia offerta da lui. Come Giuda, i soldati, Pilato e anche io mi accorgo che tale amicizia comporta una verità di me stesso, non gli do credito e la sua amicizia viene irrisa e la rifiuta.

In questo tempo santo, dove Gesù patisce e diventa per noi Crocifisso per risorgere, noi, da lui e da lui solo, intendiamo ri-apprendere Dio, le sue fattezze senza caricature; in lui, perfetta Icona del Padre, scorgiamo la verità di Dio che è Compassionevole e la cui misericordia è senza limiti e il cui perdono racconta la sua onnipotenza nell’amore: “Dio di bontà infinita, tu continui a chiamare i peccatori a rinnovarsi nel tuo Spirito e manifesti la tua onnipotenza soprattutto nella grazia del perdono” (Preghiera Eucaristica della Riconciliazione I).

 

Se scendi… allora sì, sì certamente!

 

Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: “Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!”. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuole bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”. Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo (Mt 27, 38-44).

 

La proposta amicale fatta da Gesù a tutti e senza selezione, non è accolta. A questo punto non resta se non la morte. Non rimane che di lasciarsi uccidere per amore di chi lo respinge. Per svelare il vero volto del Padre che rispetta, sino all’inimmaginabile, la libertà della persona umana, Gesù non scende dalla croce.

Le categorie che vengono menzionate sotto la croce, passanti e teologi/biblisti, come anche la categoria che patisce la medesima pena di Gesù, i ladri, pur non avendo tra loro nessuna affinità, tutti domandano a Gesù la medesima cosa: scendi e noi ti crederemo! È un ragionamento che appare di “buon senso” e che sottintende una certa teo-logia, una certa idea di Dio: Dio è il grande, il potente, il vittorioso. L’ultima parola, sempre definitiva, è sua. Chi si affida a lui, pur se provato da momenti oscuri, da prove e smarrimenti, alla fine trionferà. Se non trionferà, significa che Dio non è con lui. Ecco perché “scuotevano il capo”. La gente di strada, in fondo, tra sé e sé, si dice: “se è finito così male, certamente qualche cosa di strano, sotto sotto, doveva esserci”. Passi il popolino, ma la gente che sa, che conta, quella seria e ben posizionata, è soddisfatta di aver scoperto il trucco e, senza meno, indispettita per averlo preso troppo sul serio: “Ha salvato gli altri ma… non può salvare se stesso!”. I teologi gli riconoscono il potere di aver salvato altri ma, se non può salvare se stesso, allora, davvero, la cosa è torbida: il trucco c’è, eccome! L’irrisione è totale. Chi con Gesù patisce la stessa pena, i ladri, lo spronano – finché c’è tempo – a dimostrare di essere ‘qualcuno’: facci scendere!

            Se scendi… allora: intanto scendi dalla croce, mostra di avere il potere di salvare te stesso e allora crederemo che puoi salvare Israele. Perché se non puoi usufruire del potere che dici di avere per te stesso, che salvatore sei?

            Se veramente sei così legato al Padre, Dio confermi la verità di tale intimità facendoti scendere dalla croce.

            Se dalla croce non riesci a schiodarti e ci rimani, noi non possiamo accettare nulla di ciò per cui ci hai detto di essere venuto.

            Se poi sei venuto per farti accettare – e giusto per questo hai fatto tanti miracoli – cosa ti costa compierne solo un altro per farti riconoscere e acclamare?

            Se compissi anche un minimo gesto che dica il potere che dici di avere, anche se facessi saltare un solo chiodo, o anche se uno solo dei soldati stramazzasse al suolo, o se la voce di Dio tuonasse alta in tua difesa, è certo: tutti, genuflessi, adoranti e pentiti crederebbero in te e ti acclamerebbero messia e signore!

Se scendi… allora sì! Sì, allora certamente crederemo. L’argomento sembra evidente e irrefragabile. Se Gesù non sa salvare se stesso non gli si può dar credito. Tutte le categorie presenti alla crocifissione del Nazareno, gli chiedono la medesima cosa: usa per te, a tuo favore, quel potere divino che hai mostrato e dici di avere. Scendi e ti acclameremo in massa!

Ma Gesù non usa per sé di questo potere. Non lo ha mai fatto neanche quando era affamato (cf Mt 4,4): moltiplicherà il pane, ma non per sé. Sempre per altri (Mt 14,13-21; Mc 6,30-44; Gv 6,1-14). Né userà del suo potere per liberarsi di Giuda che lo tradiva e degli altri che proprio non riuscivano più a capirlo e stargli dietro. Anzi: “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani” (cf Gv 13,3) usa di questo “potere paterno” per lavare loro i piedi. Usa il potere per dare la vita amando.

È proprio in Gesù che non scende dalla croce alla richiesta delle varie categorie dei presenti, che il Padre mette impietosamente a nudo quale teo-logia, quale idea carnevalesca, ridicola e devastante che di Lui si porta in cuore. Gesù non usa del potere di scendere dalla croce per sventrare definitivamente tale concezione caricaturale di Dio. Se, infatti, si fosse servito di quel potere, sarebbe diventato il garante di un dio pagano: saldamente ancorato al suo potere e di un potere tutto a proprio vantaggio, di un potere da distribuire (ai meritevoli?) e da sfruttare, ancora e sempre, per vincere, stravincere e sgominare. Se fosse sceso dalla croce avrebbero creduto, sì. Ma in quale dio? Quale macchietta burlesca ne sarebbe stata consegnata all’umano? Quale farsesca parodia? Quale ritratto canzonatorio? Quale messa in ridicolo?

Gesù non scende dalla croce per dar pieno credito alla libertà dell’umano: scendere avrebbe voluto dire che Dio, solo fino a un certo punto sarebbe disposto a rispettare tale libertà. “In tal modo si penserebbe che Dio non è stato serio nell’offerta dell’amicizia, non si è sottoposto a tutte le conseguenze e, quindi, in fondo, non ama l’uomo, né la sua libertà. Come si potrebbe affermare che la misericordia di Dio è senza limiti, se a un certo punto dicesse: basta, l’esperimento è finito, è andato troppo in là, voi non avete capito?” (C.M.Martini, La morte di Dio).

E Gesù, non scendendo, morirà. Morirà così da abban-donato. Gesù, sulla croce, si ar-rende al Padre, compiendo un perfetto atto di abbandono a lui: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). In una solitudine dove il fallimento appare sovrano, Gesù reagisce fidandosi e affidandosi al Padre, le cui mani sono più certe della pur certissima morte ormai, anche lei, sovrana. Così testimonia il Dio del Vangelo, il Dio al quale ci si può affidare pienamente, senza paura. È vero che morirà solo e abbandonato ma così avrà testimoniato il Dio che dà vita oltre la morte. Il Dio a servizio dell’uomo. Il Dio che è Amore. Ecco perché la fede della Chiesa, in questo tempo fecondo e benedetto non si stanca di ripetersi che solo nella contemplazione del Crocifisso impariamo Dio. Sì: “ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2Cor 6,2).

 

Contemplazione che frantuma le maschere

Anche noi vogliamo volgere lo sguardo a Colui che è stato trafitto (cf Gv 19,37) perché è in lui che sono frantumate le maschere di Dio che teniamo avvinghiate in cuore. E anche le nostre maschere, altrettanto avvinghiate e altrettanto devastanti. Maschere che deturpano il volto di Dio e il nostro, maschere che ci schiavizzano e non ci permettono di vivere gioiosamente. Tra le sei settimane del tempo di Quaresima-Passione e le sei settimane del tempo di Pasqua di risurrezione, vogliamo regalarci un tempo di ascolto e di contemplazione della Parola, strumento efficace della grazia e orizzonte indispensabile per “smascherare Dio” e per godere della sua bellezza, della sua santità e dell’amore indefettibile che nutre per ogni persona umana. Ma anche tempo propizio per smascherarci, per riscoprire quei tratti di figlia/o amato e cercato, quel tesoro di irripetibile unicità e quella possibilità di bene, di vita e di relazioni vere che, impazienti sotto le maschere che ci siamo imposti, sono pronte ad avere finalmente parola nelle nostre storie personali.

Propongo a ciascuno un’ora settimanale, in un luogo silenzioso e in un clima di raccoglimento di sé davanti alla Scrittura santa, di alcuni passi biblici che vi suggerisco. Lo Spirito del Vivente saprà come condurci e cosa suggerire al nostro cuore che cerca pace, luce. Vita colma.

– Primo canto del Servo sofferente: Isaia 42,1-7
Il Risorto: Matteo 28

– Quarto canto del Servo sofferente: Isaia 52,13-53,12
Il Risorto: Marco 16

– Passione secondo Matteo: 26-27
Il Risorto: Luca 24

– Passione secondo Marco: 14-15
Il Risorto: Giovanni 20-21

– Passione secondo Luca: 22-23
La comunità: Atti 1-2

– Passione secondo Giovanni: 18-19
La comunità: Atti 3-5

 

L’incondizionatezza dell’Amore apre il cuore

Contemplare l’Amore incondizionato del Padre che nel Figlio Crocifisso si dice e si dona per noi, ci sospinge interiormente a fare una scelta di attenzione preferenziale per coloro nei quali Gesù si identifica (cf Mt 25), portandoci ad aprire, con accresciuta consapevolezza, cuore, occhi e mani sulle realtà che vivono attorno a noi per assumerle da discepoli del Signore.

Nessuno manca di doni ricevuti dal Provvidente. Doni che vogliamo far fruttificare e condividere con coloro che, in questo momento di grande difficoltà, patiscono ristrettezze e vivono nella precarietà. Mi rivolgo a tutti voi, fratelli e sorelle nel Signore, con la forza esortatrice e illuminante della Parola: “Distinguetevi in quest’opera generosa!” perché “qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza” (2Cor 8,7.13). Condividendo con chi è nel bisogno, la nostra Chiesa esce dall’afasia, diventa evangelicamente eloquente e ridesta in coloro che vedono, qualcosa di grande: un desiderio, un ricordo, una memoria, ciò che è irrinunciabile dell’umano: la solidarietà nell’amore. Tutti parlano di crisi economica, di difficoltà a guadagnare sufficientemente, di prezzi impossibili anche per generi di prima necessità, di sprechi della politica, di corruzione… Tutto vero. Ma come cristiani vogliamo ridire l’essenziale, ciò che dà vita alla vita, ciò che la promuove, la sostiene e la salva: la condivisione. Etimologicamente “elemosina” – che con il digiuno e la preghiera caratterizzano questo tempo quaresimale – ha a che fare con la misericordia, con la compassione, con quel tratto umano che ci fa capaci di metterci “nella pelle altrui” e con quel tratto divino, dono ricevuto nel battesimo, che ci fa amare con lo stesso cuore del Padre. Come comunità cristiana vogliamo, possiamo, dobbiamo ridire questo essenziale. Perché senza l’essenziale, ogni preoccupazione anche legittima e giusta, rischia di trasformarsi in ansia, impaurendo individui e società. Mentre tutti si preoccupano degli scarni bilanci da far quadrare, chiedo alla comunità diocesana di preoccuparsi di condividere ciò che il Signore ci ha posto nelle mani. Il gesto misericordioso dell’elemosina che aiuta l’altro, ricorda a tutti, indistintamente, che non siamo noi i padroni della vita e dei suoi beni. È gesto che invera la parola di Gesù “vi è più gioia nel dare che nel ricevere!” (At 20,35) e che equivale a dire che l’umano è fatto per amare, trova la sua pienezza nella gratuità, vive della prossimità data e ricevuta. Ogni umano può vivere solo donandosi, perché chi tiene per sé la propria vita la perderà ma chi la dona la troverà (Lc 17,33). Senza la gioia di donare, una società non riesce più neppure a far fronte alla necessità dello sviluppo, della crescita, della giustizia. Semplicemente si spegne. È gesto di profonda onestà, perché prende atto che il bisogno dei poveri attorno a noi è tale che tante nostre pretese, esigenze e lamenti suonano tanto spesso fuor di luogo, scomposti. Indegni.

Nel messaggio per la Quaresima del 2018, Papa Francesco ci ricorda che “l’esercizio dell’elemosina ci libera dall’avidità e ci aiuta a scoprire che l’altro è mio fratello: ciò che ho non è mai solo mio. Come vorrei che l’elemosina si tramutasse per tutti in un vero e proprio stile di vita! Come vorrei che, in quanto cristiani, seguissimo l’esempio degli Apostoli e vedessimo nella possibilità di condividere con gli altri i nostri beni una testimonianza concreta della comunione che viviamo nella Chiesa. […] Come vorrei che anche nei nostri rapporti quotidiani, davanti a ogni fratello che ci chiede un aiuto, noi pensassimo che lì c’è un appello della divina Provvidenza: ogni elemosina è un’occasione per prendere parte alla Provvidenza di Dio verso i suoi figli; e se Egli oggi si serve di me per aiutare un fratello, come domani non provvederà anche alle mie necessità, Lui che non si lascia vincere in generosità?”.

La prossima quinta domenica di Quaresima, 18 marzo, la nostra Chiesa celebra la Giornata per il Fondo Episcopale di Solidarietà. Tutte le offerte raccolte durante ogni celebrazione eucaristica in ciascuna Parrocchia e in ciascuna Chiesa destinata al culto divino, confluiranno in detto Fondo. Per tenere vigile la memoria e perché il maggior numero possibile di fedeli possa rispondere generosamente a questo appello, ogni comunità riceverà delle buste appositamente preparate in cui si potrà mettere ciò che il Signore ispirerà.

Domando ad ogni parroco e ad ogni presbitero di accompagnare le comunità lungo tutto il cammino quaresimale, a iniziare dal mercoledì delle ceneri fino alla quinta domenica di Quaresima, a crescere nella consapevolezza di poter e dover diventare fratelli, condividendo con chi pena dolentemente la vita.

Entro quindici giorni ogni presbitero depositerà le offerte raccolte in tale giornata presso l’Economato diocesano. Come ogni anno verrà reso noto, tramite il giornale diocesano Dialogo, quanto la carità avrà saputo smuovere la nostra generosità.

Ringraziamo insieme il Signore per ciò che attraverso il Fondo, è giunto in aiuto a tanti in questo ultimo anno: 113 sono state le situazioni dolenti che hanno ricevuto beneficio, grazie al lavoro dell’apposita Commissione da me istituita. L’importo totale erogato è di 110.524,43 euro. In questi cinque anni di vita del FES sono stati erogati 460.584,17 euro, giungendo così in aiuto a 591 domande. Nel bimestre gennaio/febbraio del presente anno, già 26 sono gli interventi effettuati. Il mio grazie a tutti coloro che hanno aperto il cuore, non hanno girato lo sguardo dall’altra parte, sono emersi dalla marea dei pregiudizi e hanno posto mano a ciò che possiedono, poco o molto che sia, perché altri potessero rialzare la faccia. Davanti ai propri figli, al coniuge. Al mondo. A tutti e a ciascuno la mia e la riconoscenza dell’intera nostra Chiesa e di coloro che son stati fatti segno di attenzione.

Preghiamo

Signore, Padre santo, che ti sei manifestato nella povertà del tuo Figlio Gesù, uomo come noi e Dio come te con lo Spirito, rivelaci quello che siamo davanti alla tua maestà nella Compassione. L’incondizionato amore Crocifisso faccia cadere dai nostri occhi le cataratte dolenti e sani le diottrie avare che ci impediscono di scorgere il tuo vero volto e svegli il nostro cuore alla certezza che l’eccedenza del tuo amore è per, me, per noi, per tutti. Frantuma con il soffio del tuo Spirito creativo, Spirito di verità e di grazia, Spirito di tenerezza e di gioia, tutte le maschere, i travestimenti e le contraffazioni che pervicacemente continuiamo ad infliggerti a infliggerci, impedendoti di essere per noi Padre buono e sconfinato nel perdono. Impedendoci di sapere che siamo la cosa più preziosa che hai voluto. Assedia con la tua Parola la nostra latitanza da essa, la nostra tiepidezza verso di essa, la nostra supponenza davanti ad essa. Rendila lampada ai nostri passi di figli smemorati, distratti. Mascheranti perché mascherati, mascherati perché mascheranti.

Tu sai Signore Gesù, Figlio santo e benedetto nei secoli, Tu sai che non sono capace di dire quella tua parola di affidamento al Padre sulla croce: dilla tu in me, dilla tu per me! Fa’ che io sappia riconsiderare l’intera mia esistenza alla luce di quella tua parola. Imprimi indelebilmente nel mio cuore accartocciato e negli antri del mio vacuo protagonismo da varietà, il tuo abbandono pieno e supremo, perché in esso hai davvero svelato che c’è il Padre. Che è sempre Padre. Che è solo Padre. Oggi confessiamo che tu non ci hai voluto imbrogliare: non sei voluto scendere dalla croce e, abban-donandoti al Padre, hai inaugurato lì, proprio lì ai piedi della croce, il Regno del Padre. Tu, prima ancora di manifestarti nella gloria della risurrezione, ti sei svelato come Figlio del Padre mettendo la tua vita – ormai braccata dalla morte – nelle sue mani.

Tu Spirito di visione santa e vera, bella e desiderabile, Tu insegnaci che un’esistenza cristiana dove si manifesta l’abbandono al Padre, è già presenza del Regno, è già anticipazione della potenza di Dio. È già vita eterna.

Tu, Madre dagli occhi colmi di Luce e dall’orecchio scavato dall’Ascoltato, non smettere di intercedere per questa Chiesa di Alghero-Bosa pellegrina nel tempo verso il Regno che viene e che preme. Amen

 

✠ Mauro Maria