Funerali Manuel Careddu: le parole del Vescovo Mauro

Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia del Vescovo Mauro Maria Morfino per i funerali del giovane Manuel Careddu, celebrati lo scorso 1° Novembre nella Chiesa delle B.V. Maria Regina delle Missioni in Macomer.

Veniamo a te, Signore, perché siamo stanchi e oppressi e siamo certi che Tu ci darai ristoro.

Questi giorni così carichi di dolore per la famiglia di Manuel, per noi, per tutti, possiamo trovare in quest’invito del Signore la ricapitolazione. Io non ho parole significative ora, ma invito me e invito voi, a farci ristorare presso il Signore perché stanchi e oppressi. Oggi abbiamo bisogno di ristoro. Abbiamo bisogno di comprendere, abbiamo bisogno di un cuore che ci accolga, abbiamo bisogno di un orizzonte che si spalanchi, abbiamo necessità di capire ma soprattutto di cambiare marcia. Da soli, noi non ci riusciamo!

Mi pare che ciò che è stato prodotto, è proprio la nostra incapacità totale di trasmettere vita, di dare vita alla vita per questa lacerazione così grande che proviamo. Siamo tutti unici e irripetibili, come Manuel, come ciascuno di noi non ce n’è stato, non ce n’è uno adesso, non ne apparirà uno dopo. E’ questa unicità che richiama la responsabilità vicendevole che ognuno di noi in qualche modo è chiamato a vivere.

Vivere vuol dire ESSERE RESPONSABILI, cioè dare risposta e darci risposta.

La vita esige delle risposte. E noi- lo dico come mondo degli adulti-, forse in un momento come questo, siamo stati un po’ latitanti, forse non abbiamo dato quella risposta attesa e non siamo stati così presenti come invece era necessario, perché bisogna DARE VITA ALLA VITA dei nostri figli. Lo sappiamo, per metterli al mondo si fa molto in fretta ma dare vita  costantemente a queste vite che, in certi momenti, si presentano anche a noi enigmatiche con domande inespresse, con grida inespresse, non sempre è facile. Eppure chi ha il cuore grande come   l’educatore, il genitore, sa ascoltare.

NOI CHIEDIAMO PERDONO a Manuel! Lo chiedo io a nome di tutti gli adulti, lo chiedo anche a tutti giovani presenti. La cosa più importante che dobbiamo fare è ascoltare, era ascoltare anche quelle grida inarticolate, dolorose, scomposte dei figli, dei nostri giovani. Non siamo stati presenti, talvolta per fare i giovanilisti come e più di loro ma i  figli hanno necessità di vedere concretamente come spendere la vita e non semplicemente di indicazioni vaghe. Voi giovani, giustamente, date credito nella misura in cui vedete credibilità. L’adulto è creduto, se è credibile, se no: no! Non possiamo fare lezioncine di vita e dire “si vive così”. Dobbiamo impersonare ciò che indichiamo come vita e perdono umano. Ti chiediamo il perdono come lo chiediamo a tutti giovani. Non vogliamo alzare, proprio oggi, il dito contro nessuno. Ma qui davanti al Signore che ci parla nella sua Parola, dobbiamo ammettere che non siamo stati forse credibili. Siamo stati distratti. Non abbiamo saputo aiutare a formulare quelle domande che premevano e che noi come adulti, come educatori, come datori di vita a diversi livelli , non soltanto potevamo ma dovevamo pronunciare perché questi figli ci sono stati affidati.

Cari giovani, quando vi indichiamo una certa leggerezza del vivere, quando il tutto e subito lo vedete anche in  noi, non dateci credito,  non ascoltateci perché siamo un falso.

La vita e la parola di Dio odierna richiedono un senso per essere vissute e per essere godute nella sua pienezza. Ognuno di noi qui si sta ponendo domande profonde di senso: cosa ci facciamo? Perché ci siamo? Perché Manuel? Una vita così breve e stroncata in questo modo, Perché? Perché nascere e perché morire?  La parola che Dio, in questa solennità, ci propone, non è stata scelta e non è casuale! Il Signore ci vuole probabilmente offrire una parola di viatico che accompagni noi, la mamma, la famiglia in questo dolore innominabile ma, nello stesso tempo, essere per noi anche un’occasione di cambiamento; perché se il cambiamento non ci sarà, -io non sono profeta, non sono figlio di profeta- questi momenti così tragici si ripeteranno. Dio mai voglia, ma dipende anche da noi!

Credo che un momento così, nessuno dei presenti avrebbe desiderato viverlo; certamente neanche io! Ma è possibile rieditare situazioni simili, quando non ci prendiamo vicendevolmente cura. Da soli non ce la facciamo. Tutti abbiamo mancato: la comunità cristiana per prima -ed io di questo chiedo perdono-, la comunità educativa, la scuola, la famiglia, tutto quello che in qualche modo dice la verità di una storia. Non possiamo permetterci da soli di dare una risposta ad un momento storico così frantumato, così complesso, così problematico, ma dobbiamo farlo INSIEME! Se no, ci dovremmo ritrovare qui piangenti e gementi, sconfitti a seppellire altri figli.

Ecco perché convertirci. Ecco perché prendere sul serio l’unicità della vita e incominciare a dare responsabilmente la nostra adesione alla vita. E c’è uno stile di vita che viene qui narrato nella persona stessa di Gesù: le beatitudini. Sembrano una cosa folle e sono una cosa folle ma sono quella realtà dove Gesù ci indica che tutti quei criteri della mondanità come primeggiare, sovrastare, comandare, manipolare, abusare, hanno come risultato solo una cosa. La morte, che può essere violenta e disumanizzata come questa di Manuel e declinata in tutte quelle morti giornaliere che infliggiamo quando sparliamo, quando non curiamo, quando non abbiamo attenzione per gli altri, quanto non abbiamo misericordia, quanto non abbiamo e non diamo perdono. Le beatitudini ci indicano delle modalità: gli stili di vita di Gesù. Le beatitudini sono Gesù. E nel battesimo, noi abbiamo ricevuto la possibilità di amare con lo stesso cuore di Dio. Nel battesimo Manuel ha ricevuto questo, come lo abbiamo ricevuto tutti noi. Sapete che cos’è il battesimo? Noi diciamo che è essere immersi nella morte e nella risurrezione di Gesù, ed è vero, ma l’essere immersi significa che abbiamo la possibilità di vivere con gli stessi sentimenti di Gesù. E una vita umana, fiorisce, è bella, anzi è vivibile se ci sono i sentimenti di Gesù. Vivere le Beatitudini è proprio questo!

Quell’Agnello immolato, sgozzato e ritto, è il segno per eccellenza della vita data gratuitamente. Ecco l’orizzonte in cui poter ricompattare, convertire, cambiare i nostri stili di vita: è quello della gratuità, della vita data con amore, con un’attenzione non per quelli che meritano, non per i buoni, ma per “i tutti”. Questo numero 144.000 vuol dire la moltitudine dei tutti. Tutti coloro che toccati da questo sigillo- e il sigillo è l’amore gratuito di Dio- non possono finire la vita.

Certo, Fabiola non potrà abbracciare il corpo del figlio, come tutti gli altri parenti, ma certamente in questo istante sa che suo figlio, proprio perché lambito da un grande amore, quello di Dio che gliel’ha donato, quello suo per lui e quello vostro per lui, non finisce perché ciò che è stato toccato dall’amore non finisce.

Quel cero pasquale che vedete non è coreografico, dice la presenza del Signore Risorto in mezzo all’assemblea: ciò che è stato toccato dall’amore non può morire, perché l’amore in questo è intangibile, è vittorioso, è onnipotente, è santo. Noi, in questi due mesi quasi, abbiamo provato una grande devastazione: devastazione di affetti, devastazione di legami, devastazione della parola amicizia, devastazione di cuori, devastazione di paesi. Questa devastazione, come ci dice la parola di Dio che oggi ci viene consegnata, viene bloccata perché il comando di Dio è Non devastate…! Coloro che sono immersi nella morte e risurrezione del Signore non subiranno devastazione. Noi oggi piangiamo, e giustamente, e non bastano le lacrime.

Voi in quest’istante siete certamente interiormente tutti presi e ascoltate in un modo unico. Come vorrei che le nostre comunità iniziassero ad ascoltare i giovani, lì dove vivono, con questa attenzione, con questa disponibilità e con questo desiderio di cambiamento!

Io dico a noi, comunità cristiane e a tutti gli adulti, non latitiamo dal loro mondo, non pensiamo che loro non abbiano necessità di vicinanza, di cura, di attenzione.  Rendiamoci tutti più attenti, altrimenti la devastazione continuerà. È inevitabile! Ma noi non vogliamo che continui. È questo il dolore che noi proviamo perché una vita che stava fiorendo è stata spezzata, e per nessuno sarà più uguale la vita, per nessuno e neanche per Manuel, che aveva chissà,- pur non avendolo mai incontrato, posso immaginarlo-, come ogni persona umana, desideri di vita, di verità, di libertà, di amore, di pienezza, di senso, diciamo in questo istante che è tutto spezzato! Si è tutto spezzato, ma in questo momento è tutto fiorito nella pienezza perché Dio è fedele. Oggi, per Manuel, ogni desiderio di verità, di libertà, di vita e di amore è colmo per l’amore di Dio: l’unico ad amare gratuitamente e fedelmente. Però Manuel non c’è. Quando la settimana scorsa abbiamo fatto la veglia missionaria preparata dai giovani, abbiamo lasciato una sedia vuota qui davanti; la Chiesa era piena, ma c’era una sedia vuota e questa sedia vuota indicava  e rimandava proprio alla insostituibilità di ognuno di noi. Non ce n’è uno in più di noi. Non ce n’è uno di troppo di noi. Non ce n’è uno sbagliato di noi. Ed è davanti a questa unicità che noi, come comunità cristiana, come comunità di Macomer, come comunità di Abbasanta e di Ghilarza, ma direi tutti noi, abbiamo la necessità di dare una risposta che sia significativa. Tante le parole che diciamo. Impariamo invece ad ascoltare di più, impariamo ad aiutare i nostri giovani, fratelli e sorelle, a dare un nome all’inquietudine che portano in cuore. Talvolta la loro domanda, anzi sempre, è una domanda di vita, di speranza, di solidarietà, rivolta a noi.  E noi, perché distratti, perché ripiegati in noi stessi, o perché, ancora peggio,  incuranti del prossimo, andiamo avanti, senza renderci conto che la loro unicità  è e sarà irripetibile. Nessuno potrà sostituire nel cuore della mamma e di tutta la sua famiglia, Manuel, nessuno può sostituire nessuno ma il Signore ci ha affidato “gli uni gli altri”. È soltanto in questa solidarietà ritrovata che è possibile pensare per noi, per la nostra terra, un cambiamento. E io, davanti a voi- popolo santo di Dio che mi edificate con la vostra fede e con voi credo sento che è tempo opportuno di dismettere parole di circostanza, di dismettere atteggiamenti più o meno sani, più o meno sapienti e incominciare a costruire, qui, una possibilità diversa. Manuel è al sicuro, ma tanti suoi compagni, tanti suoi coetanei non lo sono. Non vorremmo ritrovarci qui o in qualchedun’altra delle nostre comunità per vivere questa tragedia ancora. Tutto ciò che possiamo fare, lo dobbiamo fare. Non possiamo chiedere che altri lo facciano. Non possiamo dismettere le nostre responsabilità. Ognuno, in prima persona, si faccia carico di questo, perché se no piangeremo ancora lacrime di sangue. La vita ha senso quando viene donata: Chi stringe a se la propria vita, la perde. Chi la dona, la trova.

È dentro quest’orizzonte che possiamo ripensare la nostra esistenza, i nostri giovani e voi giovani potete vedere luce davanti a voi. Non c’è altra alternativa. Se no c’è la morte. C’è la morte che può arrivare così, ma c’è quella morte sottile, giornaliera, quella del non senso che attanaglia e ci uccide. Certo è che nessuno stile di vita disimpegnato, sregolato, che non abbia una scala di valori, uno stile di vita sballato e sballante dove lo stupefacente è soltanto la tragicità di essere stupiti di fronte alla disgregazione della vita, alla disumanizzazione della vita, produce vita, dà vita; lo stupore vero per l’umano è la tenerezza, l’accoglienza, la cura, la gratuità.

La Vergine Madre si pieghi su questo nostro dolore, sul dolore di Fabiola e della sua famiglia, sul dolore degli amici, su tutti coloro che in questo momento per qualsiasi motivo hanno il cuore stretto, hanno le lacrime agli occhi e non hanno speranza.

Maria, aiuto dei cristiani, prega per noi!

@foto “La Nuova Sardegna”