Scuola della Parola 2018/2019

Presentazione del corso

Tra il corpus ebraico dei ketubim, il tono di Qohelet apparentemente minimalista lo ha fatto considerare da molti come un libro blasfemo e pessimista circa la vita umana, i beni e il rapporto con Dio. Su di esso si è scritto tutto ed il contrario di tutto, così noi non cercheremo di proporre una visione personale, ma suggerire alcune annotazioni. In primo luogo si deve notare che il nome del libro è termine femminile connesso con la parola qahal che significa assemblea. Pertanto, il termine non indica un nome proprio, ma un mestiere: ‘colei che riunisce l’assemblea’, proprio come in sardo su bandidori, col compito di richiamare la comunità a importanti convocazioni comunitarie di natura sociale, decisionale, assembleale. In seconda battuta, si deve ricordare la natura dell’affermazione più nota e ricorrente del libro: ‘vanità delle vanità’. La ripetizione di un sostantivo/aggettivo, in ebraico come in sardo, indica il superlativo. In concreto, hebel habalim, che non significa vanità, ma ‘vapore’: lo potremmo rendere con il più spiccio ‘tempo perso’! Qohelet richiama il suo lettore all’essenzialità delle cose e dei valori, eliminando completamente ciò che è inutile, superfluo, vano, pleonastico e artificioso. Qohelet è uno che pesa l’uomo e la sua vita su una bilancia esistenziale e non morale. Si potrebbe dire che la sua domanda di fondo è la semplice: ‘sei felice?’. Se rispondi si, allora tutto ti serve per accrescerla; se rispondi no, ti aiuta a ricordare che ogni tuo sforzo materiale e spirituale è solo ‘tempo perso’! Un altro dei punti importanti da evidenziare sono le interne ed evidenti contraddizioni del libro. Nello scorrere le affermazioni ci si imbatte in opposizioni nette, che hanno generato l’ipotesi di accorpamento di sentenze diverse per autore e datazione. Ci pare, invece, che nell’economia del Qohelet ci sia un interesse a spiegare il mondo come un continuo flusso di vita e di morte, di grazia ed inutilità, di bene e male, di ricchezza e povertà che non va preso nel suo senso oggettivo, ma in rapporto al proprio essere. Il Qohelet intacca anche la possibilità di un rapporto vero con Dio e della vita dopo la morte. Questi temi hanno creato non pochi problemi ai lettori cristiani e a coloro che hanno attuato una lunga e difficile discussione per l’introduzione del libro nel canone. Da una parte si è cercato si sminuire Qohelet, e tutto l’Antico Testamento, a mera introduzione preparatoria al Nuovo. Di contro, lo si è ritenuto come pars destruens della dinamica salvifica. Tale visione ellenisticamente sistematica è fuori da qualsiasi pretesa biblica. Ci parrebbe meglio pensare ad una molteplicità di spunti e di riflessioni, che spinge il lettore biblico ad essere essenziale nella ricerca della felicità.

Tra le varie tematiche presenti nelle Scritture, ne troviamo due opposte che interrogarono gli autori e interpellano ancora oggi ogni lettore: la felicità si acquista con l’esercizio intelligente della propria libertà o è un dono di Dio slegato dall’agire umano? Daniele è certamente, il massimo esponente di questa seconda ipotesi, mentre i libri storici, e non solo, propendono per la prima posizione, senza eliminare il progetto di Dio.  Della posizione più conciliante, Qohelet sembra il massimo esponente, pur non dichiarandolo con palese evidenza. Se anche lo considerassimo un buon itinerario per valutare alcune porzioni del libro, non potremmo comunque indicarne la multiformità.

 

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Il docente

Michele Antonio Corona, laico, è nato ad Iglesias nel 1978; vive a Siamanna. Ha conseguito la Licenza in Teologia Morale presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna con una tesi dal titolo “La donna sarda tra storia, cultura e società. Elementi della Carta de Logu d’Arborea per la riflessione teologica attuale”. Successivamente ha frequentato il Pontificio Istituto Biblico di Roma, conseguendo la Licenza con una tesi sui libri di Samuele “Saul e Davide in un canto poetico. Il distico di 1Sam 18,7; 21,12; 29,5”. Nell’aprile 2017 ha conseguito il Dottorato di ricerca nella scuola ‘Fonti scritte della civiltà mediterranea’ dell’Ateneo di Cagliari con la tesi “Le iscrizioni fenicie e puniche della Sardegna. Testi e materiali per una nuova silloge epigrafica”. È docente invitato di Antropologia Biblica nella Pontificia Facoltà teologica della Sardegna e responsabile-curatore di Scuole della Parola in alcune diocesi della Sardegna. È docente presso varie sedi dell’UniTre. Giornalista Pubblicista dal 2014. Nel 2008 si è classificato al primo posto nel Concorso letterario “Il papa in Sardegna” con il racconto Cantu est duru su perdonu. Direttore del Settimanale diocesano di Oristano L’Arborense. Collabora con alcuni settimanali diocesani regionali, con sussidi liturgici di riflessione biblica. Ha pubblicato degli articoli sul rapporto tra antropologia e religiosità in Sardegna. Tiene incontri di approfondimento biblico presso istituzioni diocesane, parrocchie, movimenti ecclesiali ed associazioni culturali. Ha realizzato dei corsi biblici sul canale youtube, “L’ABC della Bibbia” e “I volti della Bibbia”.

Informazioni

Segreteria di Curia
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