Germoglio e germogli: il messaggio di Avvento e Natale del Vescovo Mauro Maria

“Ecco verranno giorni oracolo del Signore nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio [ṣemach] giusto, egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamata: Signore-nostra-giustizia (Ger 33,14-16).

Così si è aperto l’intenso tempo liturgico di Avvento che ci ha preparato al Natale del Signore 2024, e che abbiamo sentito proclamare nella liturgia della Parola della prima Domenica di Avvento. Ma l’immagine del germoglio ci è stata didatticamente – e quanto potentemente! – riproposta il giorno seguente, il Lunedì della prima Settimana di Avvento, nel testo di Isaia 11, quasi a voler prevenire la trascuratezza di una metafora che, evidentemente, la Liturgia, intende debba essere accolta con rara attenzione:

Un germoglio/chother spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto/ne
ṣer germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d’intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli umili della terra.
Percuoterà il violento con la verga della sua bocca,
con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
La giustizia sarà fascia dei suoi lombi
e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
[…] In quel giorno avverrà
che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli.
Le nazioni la cercheranno con ansia.
La sua dimora sarà gloriosa.

Questo germoglio – è il caso proprio di dirlo – “rigemma” nell’intera liturgia di Avvento, come anche sappiamo che innerva tutta la rivelazione biblica, ora preannunciandolo da lontano, come speranza; ora indicandolo prossimo e quasi-tangibile, come luminosa e corroborante anticipazione e, finalmente, contemplandolo realizzato e compiutamente identificato nella persona e nella parola di Gesù di Nazaret, il Giusto, Signore e Salvatore.

Il germoglio, come noto, ha un chiaro riferimento messianico, inscindibilmente saldato alla giustizia/edaqa eche “eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra” (Ger 33,15). Già precedentemente, il profeta Geremia (Ger 23,5-6) si era riferito al germoglio, indicandolo come colui che avrebbe governato con saggezza, a differenza di quei disastrosi governanti che, invece di servire il popolo, si erano serviti del popolo, per soddisfare i propri interessi o quelli dinastici.

L’intero Nuovo Testamento, altro non è che il racconto del per chi, del perché e del come, il Germoglio è realmente germogliato.

In molti paesi anglosassoni esiste una significativa tradizione che, in qualche modo, traduce, per il solo tempo di Avvento, ciò che invece, giorno per giorno e durante l’intero anno liturgico, la divina Liturgia celebra: il compimento di ogni germoglio di salvezza nel Germoglio che è Gesù, il Salvatore. È chiamato “Albero di Iesse”, una rappresentazione della “genealogia di Gesù”, di chi e di ciò che lo ha preceduto, preparato, invocato, indicato. Lo si allestisce nelle case e, a partire dal 1° dicembre, giorno dopo giorno, lo di addobba con un/una protagonista o un avvenimento dell’Antico Testamento. Una rassegna ricca di memoria di tutti quei germogli, orme, indizi, tracce, segni, accenni… apparsi lungo la Storia della salvezza, che permette di riportare a cuore – ri-cor-dare – tutte quelle persone o accadimenti che portano a Gesù, lo annunciano, lo indicano, lo reclamano e sono, tutti, “in vista di Lui”. Davvero un albero… evergreen, una storia che apre il cuore, lo riscalda e lo riempie di speranza!

Nei 24 giorni che precedono il Natale, via via, l’“Albero di Iesse” si riveste di quei lontani personaggi/eventi, tuttavia imparentati a Gesù:  il dramma della ir-responsabilità e della auto-nomia: Adamo ed Eva; l’arca di Noè; la terra promessa; la promessa di Dio ad Abramo; Giuseppe, il figlio amato e venduto; il dono delle Dieci Parole; Rahab, la prostituta di Gerico; Rut, la straniera; Dio, imprevedibilmente, sceglie Davide; Davide re pastore; Salomone costruisce un tempio ammirevole; Ester, l’ebrea-sovrana che salva il suo popolo; la profezia di Isaia sul Salvatore; la profezia di Isaia sulla seconda venuta; Giona e la balena; Daniele nella fossa dei leoni; Betlemme; Elisabetta e Zaccaria; Giovanni Battista; Dio sceglie Maria e l’angelo appare a Giuseppe; il censimento di Quirinio; la nascita di Gesù.

Ma un germoglio è solo… un germoglio!

A ben pensarci, a questo albero speciale, oltre i noti e citati 24 “lontani parenti” di Gesù – tanto lontani quanto inscindibili –, si potrebbe “appendere” l’infinita serie di persone, di avvenimenti, di incontri e di scontri, di gioie e di dolori, di fatiche e di speranze… che abitano la Storia della salvezza e, quindi, che ci abitano. Si potrebbero appendere tutti quei germogli che, nella luce della Natività del Verbo, possiamo scorgere in noi e intorno a noi. E più l’attenzione si affina, più appaiono innumeri. Ma non va sottaciuto: sono talmente tanto discreti e rivestiti di ferialità, da rischiare di non essere intravisti, riconosciuti, e di non esser presi sul serio…

In questo momento spezzato, ri-conoscere i germogli germogliati e quelli germoglianti, fino a scorgere il Germoglio di Iesse, restituisce il cuore alla speranza e, in verità, ci stabilisce in un anno giubilare capace di tener realmente fede a tale nome.

Certo, non si può negare: il germoglio è cosa minuscola, fragile, quasi insignificante. È come parlare di rigogliosa fioritura e di profumi inebrianti e di frutti succulenti proprio nel cuore dell’inverno, dove il gelo appare l’invincibile antagonista di ogni tentativo di vita nuova. Un tempo esclusivamente propizio per rintanarsi in casa e non badare che a se stessi…

È vero che un germoglio è solo… un germoglio. Ma è ugualmente vero che è una promessa certa e, insieme, una indubbia responsabilità e un appello alla cura attenta e all’impegno a farsi collaboratori convinti di quei processi che permettono, al germoglio, il prosieguo del fluire della vita e della sua piena realizzazione.

Quanti germogli germogliati e già riconosciuti come vero Bene, come visita di Dio, come caparra di eternità, come doni gratuiti nelle vite di ciascuno di noi. Quanti signa amoris, vestigia di tenerezza del Verbo, di compassione di Dio, di suo sorriso e di sua grazia, di sua impronta e di sua consolazione!

E ancora quanti germogli germoglianti ancora da scoprire, da decifrare, da assaporare e di cui prendersi attenta e delicata cura e per cui invocare il Signore e il suo Spirito di diventare ancora più responsabili, sempre più responsabili, sempre più capaci di farci carico senza tirarci indietro. E per questi germogli germoglianti ancora benedire, lodare e ringraziare il Signore che, anche in essi, ci visita, ci ammaestra, ci salva da noi stessi.

 “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”

Ma bisogna scorgere l’invisibile. Diversamente detto, con le parole del quasi-algherese Antoine de Saint-Exupéry: “Ma i semi sono invisibili. Dormono tutti nel segreto della terra finché a uno di loro non piglia il ghiribizzo di svegliarsi. Allora si stiracchia e fa spuntare timidamente verso il sole uno splendido, innocuo germoglio”.

Bisogna proprio scorgere l’invisibile! Il pilota-scrittore sopra nominato, lo mette in bocca alla sapiente volpe che si rivolge al Piccolo Principe: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, espressione che il destinatario, immediatamente, ripete attentamente per paura di dimenticarla.

L’intera Liturgia di Avvento, ci ha aiutato a sospingerci fuori dal torpore anestetico che, così tanto spesso, ci accalappia, ci soggioga e depotenzia gli occhi del cuore impedendoci di vederci davvero bene: “State attenti a voi stessi!” (Lc 21,34). Questo è stato il pressante invito del Signore all’inizio del cammino in attesa del suo Natale. Sì, proprio noi stessi siamo l’oggetto della nostra attenzione: le nostre scelte, i nostri stili di vita, le nostre decisioni. Il proprio nostro cuore. Appare quasi strano, ma proprio così ci viene detto dal Maestro: per scorgermi davvero, non guardatemi ma guardatevi!

Quante sante Notti di Natale non abbiamo saputo ri-conoscerlo come Salvatore, come Luce, come il sempre Veniente, come Figlio Amato dell’Amatissimo Padre e come unica e certa Speranza, perché incapaci di badare a noi stessi, perché testardamente bighelloniamo lontano dal cuore, perché perennemente calamitati da altro e da altri… Il cuore diventa ingovernato e ingovernabile quando “dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita” (cf Lc 21,34) lo appesantiscono talmente tanto da renderlo cieco. Da farlo affondare.

Natale invisibile

Natale resta invisibile quando il cuore è ostaggio delle dissipazioni.

Natale resta invisibile quando la vacuità, la vuotaggine e la superficialità diventano la trama della vita.

Natale resta invisibile quando il futile, l’epidermico, il superfluo, l’inconsistente sono posti a fondamenta di quella manciata di giorni che chiamiamo vita.

Natale resta invisibile quando ciò che realmente conta, smette di realmente contare.

Natale resta invisibile quando l’autentica finalità della propria esistenza viene truccata, contraffatta, camuffata.

Natale resta invisibile quando la dilapidazione del tempo e lo sperpero delle potenzialità, diventa stile.

Natale resta invisibile quando lo sciupìo degli affetti e la prodigalità dei beni non fanno più male al cuore.

Natale resta invisibile quando il cuore è ostaggio delle ubriachezze.

Natale resta invisibile quando l’ebbrezza del potere soppianta quella del dono.

Natale resta invisibile quando la sbornia del rischio, della vincita e della velocità intossicano, assillano, imprigionano.

Natale resta invisibile quando lo spasmo del tutto-e-subito non riceve adeguata, immediata terapia.

Natale resta invisibile quando il consumismo che non trova requie, è curato (!) con ancora altro consumo.

Natale resta invisibile quando diventa paradigma la fuga dall’impegno e l’affidamento della propria barca al mozzo di turno.

Natale resta invisibile quando il cuore è ostaggio degli affanni della vita.

Natale resta invisibile quando IO riempie la scena: terrestre, celeste, infernale. E la festa è finita prima di essere iniziata.

Natale resta invisibile quando ci consegniamo all’abitudine e trasciniamo stancamente, “fotocopiamente” i giorni, gli affetti. La vita.

Natale resta invisibile quando la vita, quella di dentro, è morta.

Natale resta invisibile quando smettiamo di guardare il Signore che viene, che è venuto e che verrà e, tanto caparbiamente quanto stupidamente, ci fissiamo su noi stessi, sulle nostre soddisfazioni, i nostri problemi, i nostri dolori, i nostri gradi (quelli già acquisiti e quei molti che, invece, ben merito, ma ancora non mi hanno appuntato al petto).

Gesù di Nazaret, Germoglio sempre in fiore

In questo Natale santo e benedetto, che spalanca le porte ad un Giubileo volutamente connotato da una sovrabbondanza di speranza da Papa Francesco, desidero consegnarvi due Inni sulla Natività – I e III – di Sant’Efrem il Siro, Dottore della Chiesa, nato a Nisibi nel 306 e morto ad Edessa nel 373. È il più importante scrittore e poeta in lingua siriaca. Basta dire che i suoi scritti erano così tanto famosi, apprezzati e venerati, da venire usati nella divina liturgia come testi di Scrittura ispirata.

La densa ricchezza dei due Inni per il Natale del Signore (breve il primo, assai lungo e articolato il terzo), diventino per tutti noi fonte di compunzione e di contemplazione, carezza del Padre, bacio del Figlio, salvifico soffio dello Spirito.

La Vergine Madre sostenga ogni desiderio di bene e di dono e ottenga per noi, dal Figlio, fraternità sincera e amorevole cura vicendevole, per portare gli uni i pesi degli altri

padre Mauro Maria Morfino                                                                            
vescovo di Alghero-Bosa

I Inno

Questa è notte di riconciliazione,
non vi sia chi è adirato o rabbuiato.
In questa notte, che tutto acquieta,
non vi sia chi minaccia o strepita.

Questa è la notte del Mite, nessuno sia amaro o duro.
In questa notte dell’Umile
non vi sia altezzoso o borioso.
In questo giorno di perdono
non vendichiamo le offese.
In questo giorno di gioie
non distribuiamo dolori.
In questo giorno mite
non siamo violenti.
In questo giorno quieto
non siamo irritabili.
In questo giorno della venuta di Dio presso i peccatori,
non si esalti, nella propria mente,
il giusto sul peccatore.

In questo giorno della venuta
del Signore dell’universo presso i servi,
anche i signori si chinino amorevolmente verso i propri servi.
In questo giorno, nel quale si è fatto povero per noi il Ricco,
anche il ricco renda partecipe
il povero della sua tavola.
Oggi si è impressa
la divinità nell’umanità,
affinché anche l’umanità
fosse intagliata nel sigillo della divinità.

Sant’Efrem il Siro

III Inno

Benedetto il bimbo, che oggi
ha fatto esultare Betlemme.
Benedetto l’infante, che oggi
ha ringiovanito l’umanità.
Benedetto il frutto, che ha chinato
sé stesso verso la nostra fame.
Benedetto il buono che in un istante
ha arricchito tutta la nostra povertà
e ha colmato la nostra indigenza.
Benedetto colui che è stato piegato dalla sua misericordia
a prendersi cura della nostra infermità.
Sia benedetta la tua nascita, mio Signore, che ha innalzato la nostra insipienza!

Siano rese grazie alla fonte inviata per la nostra propiziazione.
Siano rese grazie a colui che congedò il sabato compiendolo.
Siano rese grazie a colui che sgridò la lebbra, ed essa non poté rimanere.
Anche la febbre lo vide e fuggì.
Siano rese grazie al clemente
che ha portato la nostra pena.

Gloria alla tua venuta che ha riportato alla vita gli uomini!

Gloria a Colui che è venuto
presso di noi mediante il suo Primogenito.

Gloria a quel Silente
che ha parlato mediante la sua voce.

Gloria a quel Sublime
divenuto visibile mediante il suo Levante.

Gloria a quello Spirituale compiaciutosi

che divenisse corpo il proprio figlio,

affinché, mediante esso, la sua potenza divenisse tangibile,

e potessero vivere, grazie a quel corpo,
i corpi della sua stessa stirpe.

Gloria a quell’Invisibile
il cui figlio divenne visibile.

Gloria a quel Vivente il cui figlio morì.
Gloria a quel Grande il cui figlio scese e si rimpicciolì.

Gloria a quella Potenza divina che si è modellata
una figura della propria maestà
e un’immagine della propria invisibilità.

Con l’occhio e l’intelletto,
con entrambi lo vediamo.

Gloria a quell’Invisibile
che persino con l’intelletto
non può essere minimamente toccato
da quelli che lo vogliono scrutare,
e fu toccato, per sua grazia,
in virtù della sua umanità.
La natura che mai fu palpata,
fu legata e avvinta per le mani, trafitta e crocifissa per i piedi.
Di sua propria volontà
prese un corpo per coloro che lo afferrarono.

Benedetto, lui che la nostra libertà
ha potuto crocifiggere poiché egli gliel’ha concesso.

Benedetto, lui che anche il legno
ha potuto portare perché egli gliel’ha permesso.

Benedetto, lui che anche il sepolcro
ha potuto rinchiudere perché egli si è circoscritto.

 Benedetto, lui la cui volontà
ha condotto all’utero e alla nascita,
al seno e alla crescita.
Benedetto, lui le cui trasformazioni
hanno dato vita a noi uomini.

Benedetto, lui che ha segnato la nostra anima,
 l’ha adornata e l’ha sposata a sé.
Benedetto, lui che ha fatto del nostro corpo una tenda della sua invisibilità.
Benedetto, lui che nella nostra lingua
ha tradotto i suoi segreti.

Siano rese grazie a quella voce,
di cui è cantata la gloria sulla nostra cetra,
e la potenza sulla nostra arpa.
I popoli si sono radunati e sono venuti ad ascoltare i suoi canti.

Gloria al figlio del Buono, disprezzato dai figli del maligno.

Gloria al figlio del Giusto, crocifisso dai figli dell’empio.
Gloria a colui che ci ha slegati
ed è stato legato al nostro posto.

Gloria a colui che si è fatto garante per noi e poi ha pagato il debito.
Gloria al Bello che ci ha modellati a sua somiglianza.

Gloria al Limpido
che non ha guardato alle nostre macchie.

Gloria a colui che ha seminato
la sua luce nella tenebra
— fu condannata per le sue azioni odiose –

essa che aveva nascosto i propri segreti

e che ci ha spogliato dal vestito di sozzura.
Gloria al celeste,
che ha mescolato
il suo sale nel nostro intelletto,
il suo caglio nelle nostre anime.
Il suo corpo è divenuto pane
per dar vita alla nostra mortalità.

Siano rese grazie al Ricco
che ha pagato il debito per tutti noi,
ciò che non aveva preso a prestito;
lui sottoscrisse e divenne anche nostro debitore.

Mediante il suo giogo ha spezzato, gettando via da noi le catene del nostro predatore.
Gloria al giudice che fu giudicato,
ma che ha fatto sedere i suoi dodici
per il giudizio delle tribù,
e che per mezzo di idioti ha condannato
gli scribi di quel popolo.

Gloria a colui che mai
poté essere misurato da noi.
Il nostro cuore è troppo piccolo per lui e debole anche la nostra mente.

La nostra piccolezza è disorientata dalla ricchezza dei suoi discernimenti.

Gloria a colui che sa tutto,
e che si è sottomesso
a domandare, per ascoltare
e apprendere ciò che già sapeva,

per rivelare, con le sue domande,
il tesoro dei suoi benefici.

Adoriamo colui che ha illuminato
la nostra mente con il suo insegnamento,

e che ha tracciato nel nostro udito
un sentiero per le sue parole.

Rendiamo grazie a colui che ha innestato il suo frutto nel nostro albero.

Gratitudine verso colui che mandò
il suo erede per attirarci a sé mediante lui,
e per farci eredi insieme a lui.

Gratitudine verso il Buono,
causa di tutti i beni!

Benedetto, lui che non ha biasimato, poiché è buono.
Benedetto, lui che non ha guardato altrove, poiché è giusto.
Benedetto, lui che ha biasimato tacendo per salvare con entrambe le cose.

Forte il suo silenzio
e pieno di biasimo.
Mite la sua forza,
anche quando metteva sotto accusa:

biasimò il falso
ma baciò il ladro.

Gloria all’operaio invisibile dei nostri pensieri.
Il suo seme è caduto nella nostra terra e ha arricchito il nostro intelletto.
Il suo prodotto è giunto al centuplo,

per il granaio della nostra anima.

Adoriamo colui che si è seduto e riposa,
lui che ha camminato per via,
ed era la Via sulla via,
e la Porta per chi entra,
per coloro che entrano nel regno attraverso di lui.

Benedetto il pastore divenuto agnello per la nostra propiziazione.

Benedetto il tralcio divenuto coppa della nostra salvezza.

Benedetto il grappolo,
fonte del farmaco della vita.

Benedetto anche l’agricoltore, lui che divenne
il chicco seminato e il covone mietuto,

l’architetto fattosi torre del nostro rifugio.

Benedetto colui che si è messo a punto i sensi delle nostre menti
per cantare sulle nostre cetre ciò che non può cantare
la bocca di un volatile nelle sue melodie.
Gloria a colui che vide
quanto ci piaceva farci simili agli animali
nella nostra ira e nella nostra avidità

 e scese diventando uno di noi, affinché noi diventassimo celesti.

Gloria a colui che mai è stato bisognoso
dei nostri rendimenti di grazie

ma bisognoso perché ci ama,
e assetato perché ci vuol bene
e ci ha domandato di dare a lui,
perché lui potesse dare a noi molto di più.
Il suo frutto si è unito alla nostra umanità,
affinché mediante esso fossimo attratti verso colui che si è piegato verso di noi.
Mediante il frutto della radice

egli ci innesterà nel suo albero.

Rendiamo grazie a colui che fu colpito
e che ci ha salvati per mezzo delle sue ferite.

Rendiamo grazie a colui che ha tolto
la maledizione mediante le sue spine.

Rendiamo grazie a colui che ha fatto morire la morte mediante la propria morte. Rendiamo grazie a colui che tacendo ci ha fatto vincere in giudizio.

Rendiamo grazie a colui che ha gridato nella morte che ci aveva inghiottito.
Sia benedetto, lui i cui benefici
hanno ridotto al nulla la mano sinistra!

Glorifichiamo colui che ha vegliato
e ha fatto addormentare il nostro predatore.

Glorifichiamo colui che si è addormentato

e ha cacciato via il nostro torpore.

Gloria a Dio,
medico della natura umana.
Gloria a colui che, battezzato,
ha sprofondato
la nostra iniquità nell’abisso
e annegato chi ci annegava.
Diamo gloria con ogni bocca al Signore di ogni risorsa!

Benedetto il Medico
sceso per un’incisione senza dolore
e per sanare piaghe
con una medicazione senza violenza.
La sua nascita è il farmaco che ha clemenza dei peccatori.
Sia benedetto, lui che ha dimorato nell’utero e lì ha edificato
un tempio ove poter abitare,
un santuario ove poter stare,
un abito nel quale risplendere
e un’armatura con la quale vincere.

Sia benedetto, lui che la nostra bocca non è all’altezza di rendergli grazie,
poiché troppo grande è il suo dono per chi è dotato di parola.

E neppure i sensi sono all’altezza di rendere grazie alla sua bontà.
Quanto più gli rendiamo grazie, è poca cosa.
Ma poiché non c’è beneficio a tacere e patir danno,
renda la nostra debolezza una melodia di ringraziamento.

O Buono,
che non pretendi al di là delle nostre forze,
a quale giudizio sarà sottomesso il tuo servitore
quanto a capitale e a interesse,
poiché non ha dato quanto poteva,
e ha frodato su quanto doveva?
Mare di gloria,
che non manchi di nulla,
accogli nella tua bontà
una goccia di rendimento di grazie,
di cui, per tuo dono, è umettata
la mia lingua per renderti gloria.

Sant’Efrem il Siro