Cari “abitanti” della Scuola – ad ogni titolo e per qualsiasi motivo – che iniziate l’impegnativo cammino di questo anno scolastico 2025-2026, a tutti e a ciascuno l’augurio affettuoso di un tempo fecondo di appropriazione di sé, di crescita nell’imparare a vivere insieme, con-altri/e.
Non è un mistero: la qualità della vita dipende dalla qualità delle relazioni e uno degli scompensi più vistosi della disequilibrata accelerazione del tempo, di cui stiamo facendo faticosa esperienza, investe, appunto, le relazioni. Tutto, proprio tutto, nella Scuola, dovrebbe puntare decisamente a (ri)stabilire relazioni sanate: non solo vivibili ma belle, ricche, feconde di vita.
Non è, forse, il tempo della Scuola, un av-venimento di relazioni? Non è, forse, il ring ove si af-frontano visi, storie, gioie, dolori, fatiche, speranze di sé e di altre/i? Gli altri/e, sono la condizione per la rivelazione essenziale del proprio esistere: è l’altro-da-me che porta me a me stesso, anche quei frammenti di di sé che, da soli, siamo incapaci di ri-conoscere…
È un’ovvietà ma va ripetuta: non tutte le relazioni sono uguali, costruttive, valide o indifferenti per diventare sempre più umani. Ci sono relazioni che permettono e costruiscono un’umanità arricchente, e ce ne sono altre che la impoveriscono, l’accartocciano e la sfigurano. Gli anni (molti) passati ad abitare la Scuola, tra i tanti frutti sperati e raccolti, deve poter offrire il frutto più saporito e più nutriente: quello, appunto, dell’imparare a stare-con, a con-dividere la vita.
Desidero fare memoria, con voi, abitanti della Scuola, di alcuni – sette, precisamente – semplici ma essenziali indici rivelatori dell’autenticità delle relazioni: potrebbe essere, oltre che affettuoso augurio, una traccia semplice ma concreta per riconsiderare i nostri stili relazionali, le motivazioni reali che li sostengono, le incrinature che possono renderle più faticose fino, talvolta, a decretarne la fine (sempre dolorosa).
Il primo indice di consistenza relazionale mi pare l’indispensabile tratto di collocarsi come vicini e come distinti rispetto all’altro/a, perché ogni con-fusione, ogni fagocitazione ha, come effetto, l’impossibilità di un vero incontro e conduce al naufragio della relazione. Com-unione e con-fusione, solo eufonicamente funzionano, ma abitano agli antipodi. Una relazione autentica nasce e si mantiene né quando ci si distanzia difensivamente dall’altro, né quando ci si con-fonde con esso. Senza sana autonomia non è data alcuna relazione. A questo riguardo, Il filosofoArthur Schopenhauer, nella sua operaintitolataParerga e paralipomena, al CapitoloXXI, consegna un gustoso esempio che non necessita commento: “Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”. Quanto la Scuola, da questo punto di vista, può essere autentica, eccezionale palestra di vita, non è da dimostrare.
Il secondo indice di consistenza relazionale è l’empatia: risulta abile a dar vita alla vita, la persona che, mai dismettendo i suoi tratti, sa porsi in quelli dell’altro/a. È quella capacità così umana che è sintetizzata nell’espressione “sapersi mettere nella pelle altrui” ma subito aggiungendo: “restando se stessi”. È il cuore della relazione: la rende possibile, la sostiene, la fa crescere.
Il terzo indice di consistenza relazionale è la capacità di cogliere l’altro/a come portatore di valore identico rispetto a se stessi: è la reciprocità. L’altro/a è ac-colto/a come bene e come dono, irriducibile a se stessi. La complementarità è percepita così come indispensabile perché Io sia Io; è solo rinunciando a violentare l’altro/a riducendolo/a (etimologia quanto mai eloquente!) a propria immagine, che le relazioni diventano patto condiviso, alleanza leale, accordo di interscambio, mutuo riconoscimento. È questo vis-à-vis che dà vita a relazioni di reciprocità, abili alla collaborazione, alla corresponsabilità, alla condivisione.
Il quarto indice di consistenza relazionale è stare assieme con gratuità. Solo quando la relazione viene liberata dai suoi impulsi distruttivi, che si alimentano dalla paura, dalla gelosia, dal narcisismo, allora smette di essere ambigua, onnivora e violenta. Solo la gratuità depotenzia l’amore della sua componente naturale di violenza e distruttività. Perché per “amore” (!), paradossalmente si può giungere alla soppressione dell’altro. La nerissima cronaca quotidiana, su questo, si ripropone come tragica lezione… Il volto guarito della relazione è la gratuità. Apprendere la frontalità dell’altro/a, in realtà, è apprendere a diventare gratuiti. È la gratuità che spinge al dono disinteressato, all’uscita da sé che diventa dono. Personalmente, è proprio tra i banchi di scuola che ho fatto esperienza, sia con compagni che con docenti, di questo diamante luminoso che è la gratuità.
Il quinto indice di consistenza relazionale, consequenziale a quanto appena detto, è la capacità di stabilità relazionale. Lo stare insieme che è sorretto da un’energia affettiva non a singhiozzo, che non procede ad intermittenza, dà vita a relazioni affidabili, stabili e stabilizzanti. L’esperienza ci dice quanto la carenza di questi elementi, infìci in radice ogni vera crescita nelle relazioni. Relazioni familiari, comunitarie, amicali, scolastiche… deprivate di tale stabilità affettiva, cosa sono?
Il sesto indice di consistenza relazionale, indice“principe” nella relazione, è la capacità di assertività. Strappandosi dalla mortifera pendolarità dominato-dominante, modula relazioni capaci di porsi frontalmente, davanti all’altro/a, senza spocchia e senza paura. Esprime ciò che pensa senza prevaricare; afferma ciò che crede con franchezza, ma mai violentemente; è disponibile alla contrattazione pur tenendo in considerazione le proprie convinzioni; si dice ascoltando e ascolta dicendosi. Uno stare insieme che, senza violare la propria verità né la verità di chi ha davanti, promuove relazioni realmente collaborative, moltiplica le possibilità di soluzione, garantisce con propositività fiduciosa la crescita del dialogo.
Il settimo indice di consistenza relazionale, raro, prezioso e cuore di ogni gesto educativo e di recupero, è la capacità di riflettere all’altro il positivo sconosciuto o dimenticato dal suo stesso portatore. Un volto attento all’altro, scopre e specularmente rinvia a colui che gli sta di fronte, ciò che potrebbe essere seppellito sotto un cumulo di rovine, di detriti, di ferite. È quel faccia-a-faccia che concede ad uno dei due poli della relazione – quello momentaneamente più ferito o con più detriti addosso – di potersi sentir ricordare dall’altro: “tu sei fatto come meraviglia stupenda, sei prodigio!” (cf Sl 139,14). Proprio perché capace di non farsi seppellire dai detriti e spaventare dalle ferite dell’altro, chi è attento all’altro, non in modo indagatorio, è capace di rispecchiargli quella prodigiosità per lui, momentaneamente velata. E’ capace di offrire una vera rinascita. E’ il Tu che porta all’Io la verità di se stesso, paradossalmente anche quella che, il medesimo Io, non sa o non riesce più a riconoscere. E’ quel tratto relazionale che, quando lo si incontra, si ha la certezza di aver trovato un tesoro. Anche di questo tratto, proprio nella Scuola, ne ho fatto personalmente esperienza.
A voi amici cari, auguro di abitare la Scuola, così. Di cuore: buon anno scolastico e accademico
✠ padre Mauro Maria
*Pubblicato su DIALOGO n. 18 del 30 Settembre 2025