Pubblichiamo di seguito il Messaggio augurale del Vescovo Mauro Maria Morfino per l’inizio del nuovo anno scolastico (2018/2019)
Vivere la Scuola
Cari Docenti e cari Studenti che iniziate l’impegno e la fatica di questo anno scolastico 2018-19, a tutti e a ciascuno, l’augurio affettuoso di un fecondo lavoro.
Faccio memoria dell’esperienza diretta e di lunghi anni – come studente e come docente – dell’inizio di un nuovo anno scolastico: si spalanca un abbondante spazio di tempo dove creatività, progettualità, verifica tentano di coniugarsi con una pazienza voluta, con l’impegno non discontinuo di uscita da sé e con l’accoglienza di persone e di idee liberata da corrosivi preconcetti. Un tempo bello, un tempo unico, un tempo non rieditabile. Ecco perché, ogni inizio di anno scolastico e accademico, è un tempo propizio e privilegiato per diventare ciò che siamo chiamati ad essere: donne e uomini veri.
Vivere la scuola è integrare e integrarsi: la forma più alta di apprendimento è quella che conduce ad un presente e ad un futuro insieme, ad una storia condivisa, dove la propria storia e il potenziamento di se stessi diventa storia vera e un “di più” di vita solo quando si sguscia fuori dal proprio striminzito cerchio magico e si incomincia a dar spazio ad altro-da-sé.
Vivere la scuola è accogliere e celebrare le diversità: imparare ad aprire mente e cuore alla diversità determina l’eccellente riuscita di un anno scolastico! Solo quando l’altro è accolto, appunto, come altro, in un’accoglienza cordiale della sua diversità, è possibile dare stabile fondamento alla comunità. Solo così si riesce a dar forma a relazioni non manipolate, ad affetti non violenti, ad amicizie non malate, a stili lavorativi non depredatori.
Vivere la scuola non è mai silenziare la domanda. Le aule scolastiche molto potrebbero raccontare dell’irrequietezza – che talvolta scivola nella quasi (!) anarchia – di tanti ragazzi e giovani. Eppure questa ipervitalità viene accolta dall’educatore “educato” come un’autentica sfida che riesce a sottrarlo da schemi troppo rigidi. È proprio in tale “irrequietezza” che si declina in mute, indecifrabili e talvolta scomposte domande, che l’adulto che vive la scuola, intuisce e coglie gli interrogativi che, a volte, i giovani non riescono a esprimere in modo compiuto. L’adulto che vive la scuola è audace e creativo: coglie la domanda, ne intravede l’autentica radice e la riconsegna – capìta e ripulita – a chi, forse, l’ha formulata senza riuscirne a coglierne l’intera portata e scorgerne la bellezza e l’autenticità… L’adulto che vive la scuola non conosce tutte le risposte ma, certamente, accoglie tutte le domande. È solo accogliendo e abitando le domande che si diventa realmente adulti e capaci di fare scelte costruttive e liberanti.
Vivere la scuola non è anestetizzare l’inquietudine, perché l’educazione e la formazione non è addomesticamento. Dare “forma” alla vita e trasmettere saperi, non è mai trasmissione anonima di pacchetti o consegna di scatole sigillate: ciò che ricevo diventa realmente mio se solca per intero la mia libertà. Perciò nulla diventa mio se non incide e fende la mia inquietudine e tocca il mio cuore. Le tante ore passate in aula non possono servire per arginare tale inquietudine, bensì per rinfocolarla. Mai nessun saggio ha indicato la maturità nell’adattamento. Ogni conoscenza e stile di vita lo eredito – e dunque mi appartiene -, se entra in collisione con la mia inquietudine e si impasta di me, spalancandomi così un orizzonte di futuro tutto da costruire. Un grande musicista, Mahler, diceva che essere fedeli a ciò che ci è stato tramandato significa tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri! Se l’eredità che mi è trasmessa e che ricevo non solca per intero la mia inquietudine, si pietrifica. Paradossalmente, è solo l’inquietudine della ricerca inesausta a dare pace al cuore in ogni età della vita. Una scuola che non pizzica i sogni e li fa cantare difficilmente si può catalogare tra le “buone scuole”.
Vivere la scuola è partire da ciò che si è e da ciò che si ha. Che vuol dire non maltrattare i limiti di cui, ognuno, è “portatore sano”. Ogni capolavoro può essere fatto solo a partire da ciò che esiste e ogni accompagnamento verso la vita è nutrito da atteggiamenti che non irridono né calpestano i limiti. Papa Francesco ci ricorda che un vero atto educativo – che poi è sempre atto di tenerezza – “si esprime in particolare nel volgersi con attenzione squisita ai limiti dell’altro, specialmente quando emergono in maniera evidente” (Amoris laetitia 323).
A voi amici cari, auguro di vivere la scuola così. Di cuore
+ padre Mauro Maria