In occasione dell’avvio del nuovo anno scolastico pubblichiamo di seguito il Messaggio del Vescovo Mauro Maria Morfino indirizzato a tutti coloro che abitano il mondo della Scuola
Il merito della Scuola
Amici cari della Scuola: il calendario – e il suono di migliaia di campanelle di ogni timbro, sonorità e durata – vi chiede di riprendere le vostre postazioni all’interno di quella realtà che, in modo assai semplificato, indichiamo, appunto, scuola. L’anno scorso, in questa medesima circostanza augurale, ne ricordavo l’etimologia gioiosa e giocosa. Comunque sia, come ogni realtà umana, anche la Scuola è e resta una realtà complessa e che deve salvaguardare – caparbiamente! – tale complessità senza peraltro diventare né complessata, né compassata. Ma per salvaguardare la complessità, è indispensabile salvaguardare – caparbiamente! – l’unicità e l’irripetibilità di ogni persona che vive la Scuola e, in modo del tutto speciale, quelle unicità che sono le giovani vite che, per tante ore, la abitano sognando e costruendo il loro futuro.
Il ministero che sovrintende alla Scuola è, al presente, denominato “Ministero dell’Istruzione e del Merito”. Son certo che, chi ha modificato la precedente denominazione del Ministero stesso, aggiungendovi la parolina merito, lo ha fatto a ragion veduta per (ri)consegnare alla Scuola un suo tratto identificativo e assolutamente irrinunciabile. Intendo l’espressione non tanto “scuola del merito” quanto “merito della scuola”.
Merito, deriva dal greco meris che è la porzione, la “dose” che spettava a ciascuno in una ripartizione o nella distribuzione di qualcosa. Dal medesimo termine si formava anche il verbo per indicare il parte-cipare, prendere-una-parte di qualcosa. Ma meris significava anche cura, premura verso qualcuno ed anche sollecitudine e aiuto, occupazione accurata verso qualcuno.
“Il merito”, quindi, non sta ad indicare primariamente la “prestazione” – o come si ama dire, anglicizzando, performance – ma la “parte propria”, vale a dire quella “attenzionamento/cura” da dare a ciascuno e che, per quell’unicità e irripetibilità a cui si accennava sopra, non può essere la stessa per tutti. Una scuola che non riesce a dare la parte propria e la cura personale che spetta a ognuno sulla base della sua propria e unicissima situazione, storia e possibilità concrete, non è equa e tradisce quella alta titolatura – “Istruzione e Merito” – con cui si è voluto, più che giustamente, fregiare il Ministero in questione. Lo scrittore e docente Alessandro D’Avenia, a novembre scorso sul Corriere della sera, scriveva: “Io faccio il maestro per dare, attraverso quel che insegno, a ogni ragazzo ciò che serve a lui e solo a lui per diventare se stesso, non per tenere conferenze, dare test o compilare moduli: il mio motto è più carne e meno carte […] Educare non è addestrare (inevitabile nel sistema scolastico come è strutturato) ma risvegliare il maestro interiore, cioè rendere ognuno capace di educare se stesso (libero), scegliendo ciò che fa crescere e rifiutando ciò che fa regredire. Può riuscirci, non una scuola-catena di montaggio che tratta tutti allo stesso modo, ma una scuola-bottega in cui ciascuno riesce a trovare il suo stile unico: il «mio merito (parte e cura) nel mondo», che ci sto a fare qui. La scuola è il luogo della scoperta della propria ispirazione, l’energia che interrompe l’oscillazione immatura e sfinente tra dovere e piacere, che dà il coraggio di vivere e rende capaci di scegliere il proprio destino, il contributo che io e solo io posso dare al mondo: chi è ispirato va incontro alla vita, altrimenti va solo contro la vita”.
Nel concetto di scuola, ricordato l’anno scorso, come scholè vale a dire“libero e piacevole impiego delle proprie forze”, soprattutto interiori, indipendentemente da ogni bisogno, scopo pratico e utilità, in quel tempo/spazio in cui lo studente non è solo respirante – con le esclusive necessità primarie a cui dare (ovviamente) risposta – ma è anche vivo, perché si dedica a quelle realtà che Socrate indicava come “cose degne d’amore”, quel vero, bello, buono che dà vita alla vita, le danno un senso, la rendono vivibile e bella.
Non è fuor di luogo ricordare che Meleto e Anito accusarono Socrate all’Assemblea di Atene di essere “empio” e di insegnare “nuove divinità” ai suoi studenti semplicemente perché li invitava ad ascoltare il loro daimon, a scoprire quella ineludibile voce divina che parla in ciascuno. Per questo fu condannato a morte per avvelenamento attraverso l’assunzione della cicuta.
Solo con l’apparire di docenti socratici nel proprio orizzonte, a ogni studente è data la possibilità di ascoltarsi interiormente e così scoprire quale pezzo di mondo lo sta chiamando a partecipare, dando il suo personale contributo, alla edificazione di un mondo più vero, più bello, più buono. E, insieme, scoprire quali possono essere le vie proprie più vere, più belle, più buone da percorrere, perché tale costruzione non resti un sogno evanescente e vaporoso.
“Ma può ispirare solo chi è ispirato. Il sistema scolastico spesso non permette a noi Maestri di entrare nel merito di ciascuno, cioè aiutare i discepoli a ricevere la loro irripetibile parte/cura. Diversificare si può, permettendo ai ragazzi delle opzioni (discipline e docenti) all’interno del percorso scelto e in linea con il proprio stile di apprendimento. L’intelligenza non è fissa e unica (misurabile con il QI), ma è un processo relazionale (misurabile in base alla qualità della relazione) e diversificato – come Howard Gardner ha dimostrato – in nove stili (intrapersonale, interpersonale, linguistico-verbale, logico-matematica, musicale, naturalistica, visivo-spaziale, corporeo-cinestetica, filosofico-esistenziale) che, in base al principale, generano la vocazione (la scuola non serve a trovare il lavoro, ma la vocazione da trasformare in lavoro)” (A.D).
Che, anche in quest’anno scolastico, possa attivarsi l’incontro benedetto tra docenti ispirati e studenti desiderosi di ispirazione.
Di cuore, a tutti: buon anno scolastico!
✠ padre Mauro Maria