“La preziosità del faccia a faccia”: il Vescovo scrive al mondo della scuola

In occasione dell’avvio di tutte le attività all’interno degli Istituti scolastici, il Vescovo ha scritto un Messaggio indirizzato ai protagonisti del mondo della scuola, pubblicato sul periodico diocesano DIALOGO. Di seguito il testo integrale.

Cari Amici della Scuola,

a tutti e a ciascuno desidero far giungere un saluto, un augurio e un incoraggiamento all’inizio di questo anno di rinnovato impegno. Pensando a voi e frugando nella memoria degli anni (ormai lontani) di studente, e in quelli un po’ meno “preistorici” di docente, ho ritrovato in alcuni “faccia-a-faccia” con compagni, compagne, insegnanti, dirigenti (allora “presidi”), colleghi, personale amministrativo, collaboratori scolastici (allora bidelli/e)… alcuni tratti che, ad oggi, continuano a dare vita alla vita e che porto “dentro”, ancora, con stupore, con gratitudine, come tesoro prezioso.

Vorrei confidarveli e, in qualche modo, augurarvi di farne, anche voi, viva e gioiosa esperienza.

Da alcuni “faccia-a-faccia” con alcune persone a cui ho appena fatto menzione, ho appreso una capacità che, nella vita, si è dimostrata cardine irrinunciabile e carta vincente: quella di viversi come prossimo e insieme distinto, non-confuso rispetto all’altro/a. Il collocarsi come vicini e come distinti, è la sola possibilità che conduca ad esperire l’infinito con cui è impastato il proprio e il volto a fronte. Ma ciò esige la separazione: ogni con-fusione, assorbimento e risucchio dei tratti altrui, ogni fagocitazione (pressoché infiniti e molto spesso indefiniti sono i modi di “risucchiare” l’altro), ha come effetto l’impossibilità di un vero incontro, e conduce al naufragio della relazione. Com-unione e con-fusione fanno, linguisticamente rima ma, esistenzialmente, sono un incalcolabile danno. Ancora a Scuola, ho iniziato ad apprendere che potevo dar vita a relazioni autentiche, stando attento a non distanziarmi difensivamente da chi avevo davanti, né quello di rintanarmi nel mio (comodo) cantuccio. Entrambi i casi non sono che la cancellazione dell’altro/a in quanto altro/a. Privato di questa ossigenante autonomia, mi sono accorto che la relazione passava da esperienza gioiosa del fluire della vita, a dolente esperienza di rapina.

Un’altra preziosa esperienza degli anni nelle aule scolastiche – poi rivelatasi sempre più importante e indispensabile in ogni incontro della vita – è stata la scoperta della empatia con la persona incontrata. Ho imparato che la relazione capace di dar vita alla vita, era quella che, mai dismettendo i propri tratti, sapeva porsi in quelli dell’altro/a. È quella capacità così umana che, in italiano, è sintetizzata nell’espressione “sapersi mettere nella pelle altrui”. Ma, aggiungendo subito subito: “restando se stessi”. Il volto che incontro è da guardare e ascoltare. Solo così, sapendo di esso dal di dentro, il “faccia-a-faccia”, l’incontro, la relazione, diventa produzione moltiplicata di vita e l’altro/a, così ac-colto, si trova a casa propria.

Ricordo con commozione che, qualche docente, con il suo stile indimenticabile, pur senza dismettere né ruolo né responsabilità, mi ha trasmesso la preziosissima consapevolezza di valere qualcosa. Solo andando avanti negli anni, ho saputo esprimere, a parole, quella percezione allora solo abbozzata: mi avevano trattato come di pari valore rispetto a sé! Da veri in-segnanti (= chi incide, lascia il segno). Allora, in germe, dallo stile di quei docenti, ho iniziato a comprendere che, quando si accoglie l’altro/a con reciprocità, si può dar vita a relazioni dove la diversa identità, ac-colta come di pari valore alla propria, diventa un bene raro da custodire, diventa dono prezioso che si fa di tutto per preservare. Solo rinunciando a violentare l’altro riducendolo (etimologia quanto mai eloquente!) a propria immagine, le relazioni diventano patto condiviso, alleanza leale, accordo di interscambio, mutuo riconoscimento.

Moltissimi, poi, sono stati, a Scuola, gli incontri e le relazioni che mi hanno spalancato gli occhi sulla godibilità di condividere la vita con gratuità. Quando, allora, vivevo quelle esperienze, ne gustavo la bellezza e la verità, ma senza, ancora, riuscire a dirmela e a ridirla compiutamente ad altri. L’ho fatto poi. Ma è di allora la scoperta che, non faccio fatica a chiamare sensazionale. Solo quando la relazione viene liberata dai suoi impulsi distruttivi, quegli impulsi che vengono alimentati dalla paura, dalla gelosia, dal narcisismo, solo allora la relazione smette di essere ambigua, ingorda e perciò violenta. Solo la gratuità depotenzia l’amore della sua componente naturale di violenza e distruttività. Lo apprendiamo, tragicamente, sempre con lo stesso schema, ogni giorno nei notiziari di cronaca nera: per “amore”, paradossalmente, si arriva a scartare, ad impadronirsi, a cosificare l’altro/a. Si arriva ad uccidere. Allora, a Scuola, negli incontri/scontri con chi avevo intorno e davanti, ho iniziato a capire che il volto guarito della relazione, è la gratuità.

Una splendida scoperta, sempre negli anni della Scuola che porto come tesoro prezioso in cuore, la posso indicare nella stabilità relazionale. Più semplicemente: quando si incontrano persone sorrette da un’energia affettiva non a singhiozzo, che non procede ad intermittenza, che non è ritmata dall’umoralità o dalla convenienza, scopri un mondo di luce, un mondo che desideri abitare! Quando ci è offerta o offriamo una relazione affidabile, che fa gustare la durevolezza e la consistenza relazionale, voliamo. Ho ancora negli occhi il volto di compagni, di colleghi, di collaboratori scolastici proprio con tali fattezze relazionali.

Devo dire che la Scuola è stata uno spazio e un tempo favorevole anche per l’apprendimento di una “competenza umana” di cui, lungo la vita, poi, sempre più se ne coglie l’indispensabilità: imparare ad affrancarsi, giorno dopo giorno e incontro dopo incontro, alla mortifera pendolarità dominato-dominante, imparando a vivere relazioni capaci di porsi frontalmente, davanti all’altro, senza spocchia e senza paura. È tra i banchi che ho imparato che dire ciò che si pensa senza prevaricare, affermare ciò che si crede con franchezza ma mai violentemente ed essere disponibile alla contrattazione pur tenendo in considerazione i propri punti di vista, moltiplica le possibilità di soluzione, garantisce con propositività fiduciosa la crescita del dialogo e, soprattutto, fa gustare una sorprendente libertà nel cuore.

Infine, con tutto il cuore, vi auguro di poter incontrare, a Scuola – a me è felicemente successo – persone capaci di riflettere, su voi, quel positivo ancora sconosciuto o dimenticato di cui, ognuno, è portatore sano! È il dono più prezioso che possiamo ricevere. La Bibbia, per esempio, è una miniera che narra di tali incontri benedetti. Uno sguardo attento all’altro, scopre e specularmente rinvia a colui/colei che gli sta di fronte, ciò che potrebbe essere seppellito sotto una marea di rovine, di detriti, di ferite. È quel faccia-a-faccia che concede ad uno dei due poli della relazione – quello momentaneamente più “ferito” o più “fragile” – di potersi sentir ricordare dall’altro: “Tu sei fatto come meraviglia stupenda, sei prodigio!” (Salmo 139,14). Solo chi è capace di non farsi seppellire dai detriti e spaventare dalle ferite dell’altro, solo colui che non indaga indiscretamente ma sa diventare accogliente, rispettoso, gentile, diventa capace di offrire una vera ri-nascita, offrendo, a chi ha davanti, quella ricchezza unica che, la medesima persona, sopraffatta dalle sue stesse macerie, non riesce più a vedere. Esiste dono più grande? Chi lo trova, trova un autentico tesoro!

Possiate incontrare, in tutti coloro che “abitano” la Scuola, veri in-segnanti!

Di cuore, a tutti: buon anno scolastico.

Padre Mauro Maria Morfino